The Witness

Approfondimenti

Ogni album dei Suuns è stato un viaggio di sola andata verso gli angoli più oscuri e tenebrosi dell'animo umano. Guidato da Ben Shemie, il quartetto canadese (diventato un trio dopo la separazione con il tastierista Max Henry nel 2018) si stava dirigendo sempre più verso un rock'n'roll proteiforme che mescolava la psichedelia più cupa con delle deflagrazioni sperimentali, il tutto avvolto da chitarre saturate e beat elettronici. Il krautrock di Can e Neu!, lo shoegaze dei My Bloody Valentine, il post-punk di The Fall e l'electro dei primi album della Warp sono stati il carburante dei Suuns per anni. Ma a quanto pare, questo appartiene al passato. Nel 2018, Felt, tanto sconvolgente quanto entusiasmante, è stato un quarto album apparentemente più sereno, in cui i canadesi si sono lasciati un po' andare e hanno realizzato una registrazione meno clinica, più organica e artigianale, ma non meno cupa. Tre anni dopo, la sensazione onirica è ancora più marcata, ma soprattutto più affascinante. The Witness, pubblicato recentemente, è un disco caratterizzato da una nuova leggerezza, che a volte flirta con il post-rock o persino con il jazz sperimentale. I Suuns hanno messo da parte la camicia di forza, si sono riempiti i polmoni di aria fresca e hanno iniziato a saltare di nuvola in nuvola. I recessi più celati dell'animo umano sono sempre nel loro mirino, ma finalmente sono riusciti ad essere anche giocosi, a tratti malinconici e persino ottimisti. E luce fu. © Marc Zisman/Qobuz