Il folk sognante e puro della californiana nel suo nuovo album "Quiet Signs"...

Alla fine di una prova, un’attrice di teatro assiste alla morte di un’ammiratrice isterica, investita da una macchina mentre osservava il suo idolo che se ne andava. L’incidente la segna a tal punto che sprofonda in un terribile sgomento. È la scena iniziale interpretata da Gena Rowlands in Opening Night di John Cassavetes. Un film del 1977 che ha segnato profondamente anche Jessica Pratt tanto da influenzarla su Quiet Signs, il cui primo pezzo si intitola per l’appunto Opening Night

Questo terzo album della cantante americana sarebbe tra l’altro potuto uscire nel 1977, nel 1968 o anche nel 1973. Ma alla fine uscirà nel 2019. Essere atemporale, non alla portata di tutti, Pratt si serve della sua non appartenenza ad uno spazio-tempo specifico per meglio far perdere le proprie tracce. Perfino la sua voce, una delle più commoventi e particolari del momento, è uno spirito libero. Si tratta forse della voce di una bambina che si confessa a Babbo Natale? Quella di una fata irreale? Quella di una vecchia errante in una città fantasma? Tutt’e tre insieme probabilmente …

Tutt’intorno, la californiana trentenne chiude drappeggi di folk da camera, ravvivati da un semplice flauto, da una chitarra acustica, da un organo vintage, da alcuni strumenti a corde o da un pianoforte. Ci viene in mente la dimenticata Linda Perhacs, Vashti Bunyan, Sibylle Baier e anche Karen Dalton. Molto più vicina a noi, Joanna Newsom. Insomma, soprattutto quelle cantanti folk, della fine degli anni ’60 e dei primi anni ’70, dotate di una voce irreale. Mentre la magia di Quiet Signs, è ben reale. © Marc Zisman/Qobuz

Jessica Pratt - This Time Around (Official Video)

Jessica Pratt

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