Negli ultimi anni, dopo il 2010, parecchie voci fanno rivivere il soul degli anni ’60 e ’70 a colpi di album registrati «alla vecchia maniera». Con Amy Winehouse, Leon Bridges, Sharon Jones, Michael Kiwanuka e Curtis Harding, il groove vintage ha il suo ritorno di fiamma.

Era meglio prima eccetera eccetera... Non ci sono più le cose di una volta eccetera eccetera... I fan del groove vintage possono mettere via lamentazioni, geremiadi e rancori. Da una decina di anni a questa parte, il soul degli anni ’60 e ’70 torna in auge, e alla grande. Ad ogni settimana nascono eredi più o meno diretti di Otis Redding, Sam Cooke, Aretha Franklin, Donny Hathaway, Willie Hutch, e nuovi Marvin Gaye. Ma più che le voci, è la sonorità caratteristica di quei decenni del secolo scorso a simboleggiare questo revival. Se pur a pochi passi dall’imbalsamazione, si tratta di una sonorità assolutamente contemporanea. In ogni caso, riannoda i fili di una tradizione che gli anni ’80 e ’90 avevano spedito in soffitta...

È difficile datare precisamente la data del ritorno del soul eterno. Se il R&B ad alto tenore di saccarosio regnava durante gli anni ’80, la soul «nuda», dalle produzioni più coscienti e più sofisticate, preparava il campo nel decennio seguente. Amy Winehouse non fu l’unica voce della sua generazione a prendere a prestito generi antichi, ma fu la prima grande star a riesumare una sonorità un po’ vintage. Quando il «fenomeno Amy» esplose sul serio con il secondo album, il sublime Back To Black nell’ottobre 2006, di molto superiore al disco precedente, Frank, il soul offriva soprattutto delle dee R&B vuote, intercambiabili e sciroppose che pubblicavano prodotti completamente asettici. Sono in pochi a tentare di far davvero evolvere l’idioma scolpito da Aretha Franklin, Ann Peebles, Nina Simone, Tina Turner, Dinah Washington e Marlena Shaw.