Con l'onirico “Some Kind of Peace”, il compositore islandese firma il suo album più toccante, un disco positivo dal sapore new age...

Dopo aver presentato il suo album re:member (pubblicato nel 2018, forse il suo lavoro più bello, di sicuro il più audace) in giro per tutta l'Europa, durante il lockdown Ólafur Arnalds si è trovato da solo nel suo studio sul porto di Reykjavik, e ha colto l'occasione per registrare il suo disco più intimo, Some Kind of Peace. “Come tutti gli altri, la situazione mi ha portato a fare un bilancio di quello che stavo facendo. Quando è arrivata la pandemia, avevo già scritto metà dell'album, ma il resto è fluito in modo spontaneo. Quello che ne è venuto fuori è il mio album più personale fino ad oggi, spoglio di concetti o idee grandiose. Si tratta solo di me”, spiega il compositore islandese, che offre momenti di intensa leggerezza, quasi fino allo stato di levitazione, dall'inizio del disco - l'ultra chill Loom - o su Zero.  

Ólafur Arnalds - finding some kind of peace (behind the scene)

OlafurArnaldsVEVO

  Sintetizzatori onirici, violini rilassanti, note di pianoforte piene di empatia: Ólafur Arnalds invia vibrazioni che hanno del terapeutico, con brani che danno l'impressione di aiutare l'espansione della coscienza. Su questo disco appaiono alcuni ospiti locali (tra cui la cantante islandese JFDR, che trasuda sensualità stile Roya Arab, su Back to the Sky), e si chiude con un tocco di filosofia con Undone, che campiona un'intervista con la cantante Lhasa de Sela, venuta a mancare nel 2010, che ci spinge a riconsiderare il concetto di morte. Un album che è quasi una cura di cui non si può fare a meno. © Smaël Bouaici/Qobuz  

Ólafur Arnalds, Bonobo – Loom

Ólafur Arnalds

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