In occasione del centenario della scomparsa del compositore, Qobuz vi offre qualche traccia

Eccoci qua, è il 2018, e dato che Debussy prese la brutta iniziativa di morire esattamente un secolo fa, si apre ora un anno di celebrazioni, di agiografie, di omaggi, di sepolcri, di conferenze, di convegni, di integrali discografiche pot-pourri, di nuove registrazioni utili o inutili, per non parlare di Qobuz che scuce alcuni articoli non meno utili o inutili, a cominciare da questo. Visto che su Debussy è stato scritto già tutto da ben più di un secolo –numerosi commentatori non hanno atteso la sua morte per parlare di lui, a volte bene, spesso male –, noi non faremo al lettore l’affronto di servirgli un’ennesima analisi armonico-storico-fumosa di tale o talaltra opera, né una valutazione della sua appartenenza ad un ipotetico movimento impressionista musicale, né una minestra riscaldata copia-incollata di tutto ciò che si trova già facilmente in mille volumi. Vi proponiamo questo primo articoletto più o meno biografico, che va – a piccole pennellate deliberatamente frivole, sempre suffragate da indiscutibili documenti, in particolare la sua abbondantissima corrispondenza – dai primi anni del giovane Achille (poiché firmò Achille Debussy fino al dicembre 1889, passò tre anni sotto forma di Claude-Achille, prima di Claudarsi definitivamente a partire dal marzo 1892, con una lettera a Pierre-Louÿs), fino al trionfo di Claude a tre mesi dalla quarantina, nel maggio 1902 – la prima di Pelléas. Il secondo Grandangolo riprodurrà nella sua interezza il magnifico articolo di Adolphe Jullien che aveva pubblicato Le Théatre (sic, senza accento circonflesso) nel maggio del 1902, con dimolte foto e descrizioni, all’epoca della prima di Pelléas et Mélisande; e inoltre numerosi articoli, estratti di articoli o lettere d’epoca fortemente pro, fortemente contro, fortemente indecise o fortemente neutre sulla scia dell’evento: d’Indy, Dukas, Lalo figlio, Catulle Mendès, Gide, Jean Marnold (pseudonimo di Jacques Morland, critico d’arte rinomato e tuttavia rispettabile), Maeterlinck, Robert de Flers, per non parlare delle acide e ciniche risposte di Debussy. Una terza parte affronterà l’opera per pianoforte, una quarta ed ultima la sua vita post-Pelléasica, nonché la sua vasta opera – più precisamente, i suoi monumenti per orchestra.

Non è che se sei nato a Saint-Germain-en-Laye, ormai banlieue superchic di Parigi, appartieni per forza all’alta società, specie nel 1862. Per essere precisi, il 25 marzo 1862; quando venne al mondo Achille-Claude Debussy (Achille Claudi-cante: prima il tendine, poi lo zoppo… partiva col piede giusto??) al numero 38 di rue au Pain (via di Pane: il colmo, per un pianista a quanto pare molto raffinato), al piano superiore di un modesto negozio di piatti e stoviglie posseduto dai genitori, si era ben lontani da Parigi, dalle sue luci e dalla sua agitazione. I Debussy dovettero peraltro lasciare il negozietto due anni dopo, non riuscendo più a far fronte economicamente. Dopo un periodo a Clichy presso la nonna materna di Achille-Claude, si stabilirono al numero 11 di rue de Vintimille (vicino alla Place de Clichy, luogo allora non proprio raccomandabile) nel settembre del 1867. Debussy padre si barcamenò alla meno peggio come rappresentante di utensili domestici, poi come operaio di tipografia, il che gli permise di sistemarsi un po’ meglio al 69 di rue Saint-Honoré. All’inizio del 1870, Madame Debussy e i figli partono per Cannes – l’ombra della guerra franco-prussiana era già minacciosa a sufficienza, sebbene le ostilità non iniziassero che a luglio. Il padre rimane a Parigi e si ritrova presto senza lavoro, poi entra nel servizio viveri comunale del primo arrondissement di Parigi, uno dei futuri nuclei della Commune, ci torneremo.