Jeff Tweedy, autobiografico

La morte, il tempo che passa, la depressione, l’usura… Non si attirano i clienti esponendo nella vetrina tematiche così sexy. Neanche quando il negozio si chiama Warm, caldo in italiano. Eppure, Jeff Tweedy è uno dei cantautori più affabili della sua generazione. Presso il quale amiamo rifugiarci in caso di attacco di malinconia invernale. Dalla fine degli anni ’80, il leader del gruppo Wilco non ha smesso di creare meraviglie con le sue parole intime che parlano dei mali dell’intimità. Ovviamente con un pizzico di umorismo o di causticità…

Regolarmente, Tweedy ha collaborato in diverse occasioni con altri musicisti. Dal 2010, lavora regolarmente con una delle grandi regine della soul, Mavis Staples, di cui è produttore o con la quale scrive i brani (gli album You Are Not Alone nel 2010 e One True Vine nel 2013). Nel 2014, pubblicava un disco in duetto con suo figlio batterista Spencer (Sukierae). Nel 2017, con Together at Last, tirava fuori un disco con il suo nome. Uno pseudo inizio da solista essendo esclusivamente composto da vecchie canzoni dei Wilco e dei suoi progetti Golden Smog e Loose Fur, che rivisitava in versione acustica.



Con Warm, il repertorio è completamente nuovo e Jeff Tweedy è il solo comandante a bordo. Il terreno è noto. Sempre altrettanto sobrio e bello nel suo universo d’Americana atemporale. Impeccabile in quell’equilibrio tanto dolce quanto amaro a cui tiene in modo particolare. E sempre impressionante quando si tratta di esaltare una melodia pura (I Know What It's Like) o di fare rumore (The Red Brick). Tweedy dimostra soprattutto di essere uno dei migliori poeti rock della sua generazione. Come quando conclude la canzone Some Birds con la frase: I break bricks with my heart, Only a fool would call it art. © Marc Zisman/Qobuz

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