La sera del 13 settembre 1963, durante il concerto di chiusura del Festival Gaudeamus, uno stranissimo strumentario occupò la sala ricevimenti del Municipio di Hilversum, nei Paesi Bassi. Una decina di esecutori vestiti in frac, con i volti impassibili, entrarono in scena in fila indiana e si posizionarono ai lati di tavoli su cui erano stati accuratamente allineati un centinaio di metronomi a pendolo. Il direttore d’orchestra entrò pochi secondi dopo. Dopo lunghi minuti di silenzio, fece un gesto con il braccio. Poi dieci “esecutori” fecero scattare simultaneamente i metronomi, preimpostati a velocità diverse, prima di lasciare il palco imperturbabili, sotto gli occhi di un pubblico per metà attonito e per metà divertito. Per una decina di minuti la sala fu riempita da un frastuono di scatti meccanici, che si attenuarono gradualmente fino a quando l’ultimo metronomo, il più lento, si fermò. Il pubblico aveva appena assistito alla prima mondiale del Poema sinfonico per 100 metronomi di György Ligeti, singolare compositore del blocco orientale che da quando si trasferì a Vienna, quattro anni prima, non smise di entusiasmare la platea avanguardista.
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