Due leggendari album dal vivo pubblicati alla fine degli anni Sessanta hanno dato un enorme spinta alla carriera di Johnny Cash trasformandolo in una star internazionale. Si tratta di due Album diversi da tutti gli altri: sono stati registrati in prigione. Ma cosa ha portato il “Man in Black” a ritrovarsi in una sala da concerto così insolita?

La nomea delle prigioni californiane di Folsom e San Quentin non è associata solo ad attività criminali. Grazie a Johnny Cash, hanno giocato anche un ruolo chiave nel plasmare la storia della musica popolare del XX secolo. Nelle prigioni il cantante ha registrato due album, il 13 gennaio 1968 e il 24 febbraio 1969. Si tratta di due dei migliori album dal vivo di tutti i tempi. Il contesto insolito e il coinvolgimento dei detenuti ha ovviamente fatto sì che queste registrazioni si distinguessero su tutte le altre. Ma si è trattato di qualcosa di più di una semplice innovazione. Le performance di Cash e dei suoi musicisti furono eccezionali, quasi come se avessero assimilato tutto il bene, il male, la pietà, la ribellione e la redenzione che fluttuavano nell’aria.

Alla fine degli anni ‘60, Johnny Cash non era esattamente una scommessa sicura per la Columbia, la sua casa discografica di allora. Il pubblico era diventato sempre più ghiotto di pop e di rock’n’roll, e i Beatles, i Doors e Jimi Hendrix restavano incrollabili in cima alle classifiche. Da quando dieci anni prima aveva guidato una sorta di ribellione giovanile mentre era stato scritturato dalla Sun Records (la storica etichetta del produttore Sam Phillips, dove Cash incrociò le strade con Elvis Presley, Roy Orbison e Jerry Lee Lewis), a 35 anni il cantante era quasi diventato troppo vecchio per queste cose. La sua dipendenza dalle droghe e il suo country senza fronzoli dimostravano che non era mai stato un tenero, ma era necessario ricordare alle nuove generazioni chi era il boss. L’idea di registrare all’interno di un carcere gli ronzava nella testa da un po’ di tempo. Nel suo secondo singolo, Folsom Prison Blues (pubblicato nel 1955 ad appena vent’anni), mostrava la sua solidarietà verso gli emarginati della società e le dure condizioni di detenzione. La canzone (ispirata al film noir Inside the Walls of Folsom Prison, girato nel 1951 dal semi-sconosciuto regista Crane Wilbur) è diventata un inno per i carcerati, che in seguito richiesero che il Man in Black andasse nella loro prigione. Fin dal 1957, Cash veniva chiamato a esibirsi in diverse prigioni del Paese. La frase “I shot a man in Reno, just to watch him die” è ancora oggi una delle più famose del cantante. Anni dopo, spiegò come nacque: “Mi sedetti con la penna in mano, cercando di pensare al peggior motivo che una persona potesse avere per uccidere qualcuno, e questo è quello che mi venne in mente…”.

Johnny Cash & The Tennessee Two - Folsom Prison Blues - Live in 1959 (Improved Audio)

Romandjma.Recordplayers

Alla fine degli anni ‘60 le vendite di Johnny Cash stavano rallentando. Nel tentativo di dare loro una spinta, la casa discografica Columbia (sotto la guida di Bob Johnston) appoggiò l’idea di un’esibizione dal vivo in prigione. I dirigenti della Folsom furono i primi a dire di sì. Tre giorni prima dell’evento, Cash arrivò a Sacramento, a 30 km dalla prigione, per provare con sua moglie June Carter Cash, i fedelissimi Tennessee Three (Luther Perkins alla chitarra, Marshall Grant al basso e W.S. Holland alla batteria), Carl Perkins (il celebre chitarrista noto autore di Blue Suede Shoes), gli Statler Brothers (coristi che hanno continuato a lavorare con Cash fino al 1972) e il produttore Bob Johnston. Pianificarono due set di circa quindici canzoni ciascuno - uno alle 9:40 del mattino, l’altro alle 12:40. Come prevedibile, The Man in Black scelse di eseguire Folsom Prison Blues e altri inni carcerari come The Wall e 25 Minutes to Go. Inoltre, cantò dei classici country come Dark as a Dungeon di Merle Travis e Long Black Veil, brano reso celebre da Lefty Frizzell. Anche June si unì a lui per due duetti, in Jackson e Give My Love to Rose.

Uno dei momenti più significativi del concerto è senza dubbio Greystone Chapel, un’insolita canzone scritta proprio da uno degli uomini in prima fila, vestito con la sua tuta da carcerato: Glen Sherley. “La sera prima del concerto”, raccontò Cash anni dopo, “arrivai al motel e un mio amico predicatore mi portò una cassetta con una canzone chiamata ‘Greystone Chapel’. Disse che l’aveva scritta un detenuto, e che parlava della cappella di Folsom. La ascoltai una volta e dissi: «Devo cantarla nello spettacolo di domani!». Così rimasi sveglio e la imparai, e il giorno dopo il predicatore lo fece sedere in prima fila. Annunciai: «Questa canzone è stata scritta da Glen Sherley». È stata una pessima, pessima idea indicarlo tra tutti quei detenuti, ma allora non ci pensai. Tutti impazzirono, urlando e facendo scenate”.

Mentre solo l’edizione originale è disponibile in Hi-Res 24Bit, sulla Legacy Edition del 2008 si possono ascoltare le prove, i due spettacoli completi e tutti i contributi di Johnny Cash. Si può anche udire un altoparlante del carcere che incoraggiava i detenuti ad applaudire il più forte possibile. Quattro mesi dopo, At Folsom giunse nei negozi posizionandosi al primo posto nelle classifiche country e fino al tredicesimo posto nelle classifiche pop. Gli elogi dei critici nei confronti dell’approccio molto originale di Johnny Cash furono unanimi, definendolo un portavoce per gli oppressi, una sorta di Woody Guthrie moderno capace di destreggiarsi tra empatia, umorismo e pathos. La carriera del Man in Black subì nuovamente una svolta. Il canale televisivo ABC gli suggerì persino di lanciare un suo programma televisivo.

Un anno dopo Folsom, Cash tornò in gattabuia. Questa volta un po’ più a ovest, nella prigione di San Quintino. L’album Johnny Cash At San Quentin, progettato con grande cura, è leggermente meno potente del suo predecessore. Ma l’atmosfera della prigione è palpabile e le canzoni, a differenza della performance di Folsom, si susseguono ad un ritmo frenetico. Forse con l’obiettivo di conquistare gli ascoltatori più giovani, l’album inizia con una cover di Wanted Man di Bob Dylan. Troviamo anche una canzone scritta per l’occasione e chiamata appropriatamente San Quentin, con un testo che mette in mostra il meglio della scrittura di Cash: “San Quentin, you’ve been livin’ hell to me. You’ve hosted me since 1963. I’ve seen’em come and go and I’ve seen them die. And long ago I stopped asking why. San Quentin, I hate every inch of you. You’ve cut me and have scarred me through and through. And I’ll walk out a wiser weaker man. Mr. Congressman, you can’t understand...” (San Quentin, hai vissuto l’inferno per me. Mi hai ospitato dal 1963. Ne ho visti andare e venire e ne ho visti morire. E da tempo ho smesso di chiedermi perché. San Quentin, odio ogni centimetro di te. Mi hai tagliato e mi hai lasciato cicatrici su cicatrici. E ne uscirò come un uomo più saggio e più debole. Onorevole, lei non può capire...”).

Johnny Cash - San Quentin (Live at San Quentin, 1969)

JohnnyCashVEVO

La registrazione di San Quintino segnò una svolta non solo per i suoi fan, ma anche per Johnny Cash stesso, poiché era la prima volta che suonava senza il suo fedele chitarrista Luther Perkins. L’inventore del famoso sound “boom-chicka-boom” morì sei mesi prima in un incendio, a soli 40 anni, e Bob Wootton prese il suo posto... Ci sono molti aneddoti sull’esibizione di Cash a San Quintino, come quello della famosa foto in cui, con la chitarra appesa sulla spalla, Cash indirizzò il suo dito medio verso l’obiettivo del fotografo Jim Marshall. La troupe di Granada TV, che filmava la performance per poterla immortalare, aveva invaso la scena e Johnny Cash, impossibilitato a cacciarli via, gridò “sgomberate il palco!”, scandendo il suo grido con il famoso gesto. Parlando di Cash e San Quintino non si può non menzionare Merle Haggard. Non era ancora diventato una leggenda del country, ma anche Haggard era presente tra il pubblico! Non il giorno della registrazione dell’album, ma qualche mese prima, quando il Man in Black si esibì per Capodanno. Haggard in seguito ripeterà spesso che il carisma di Cash è stato per lui una vera rivelazione...

Il 4 giugno 1969, l’album viene finalmente pubblicato, con una leggendaria fotografia in blu & nero, scattata da Marshall, sulla copertina. Per la prima volta nella sua carriera, Cash arrivò in cima sia alle classifiche country che a quelle pop. E tre giorni dopo, presentò il primo dei 58 spettacoli del Johnny Cash Show su ABC, invitando Bob Dylan e Joni Mitchell a partecipare. Lo show andò in onda fino al Marzo del 1971 e vide la partecipazione di Neil Young, Ray Charles, Dusty Springfield, Creedence Clearwater Revival, The Staple Singers, Kris Kristofferson, Merle Haggard, James Taylor, Louis Armstrong e Odetta. Nessuno si aspettava la resurrezione artistica e commerciale di Johnny Cash, che qualche mese prima stava lottando con la sua costante dipendenza dalla droga. Aveva raggiunto lo status di superstar, come dimostra il concerto che tenne il 5 Dicembre al Madison Square Garden di New York, e che registrò il tutto esaurito. Il carisma di Johnny Cash è perfettamente condensato nelle parole che disse al giornalista Bill Flanagan verso la fine della sua vita: “A San Quintino, sapevo che era sufficiente che io dicessi al pubblico della prigione «Prendete il controllo! Scappate!” e loro l’avrebbero immediatamente fatto. Anche quelle guardie lo sapevano. Fui tentato di farlo...».

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