Il trombettista tormentato dalla vita tumultuosa ci ha lasciato una delle opere più singolari della storia del jazz. Come una bolla di malinconia, un sogno infinito, continuamente richiamato all’ordine per la sua dipendenza dai paradisi artificiali. C’era una volta l’angelo grigio del jazz…

Le tre del mattino. Un corpo inerte giace sul marciapiede davanti al Prins Hendrik Hotel di Amsterdam, il viso cosparso di ematomi… L’autopsia rileva la presenza di eroina e cocaina nelle vene di questo americano dal viso consunto… Si è suicidato? È stato spinto? È inciampato? La morte di Chet Baker in quel venerdì 13 maggio del 1988 resterà lo specchio della sua vita. Misteriosa, spesso tragica. Angelica, anche, come quell’ultimo salto nel vuoto… Chet resterà soprattutto una figura indecifrabile nella storia del jazz. Quella sonorità così atipica per una tromba, quel canto straziante sempre ai limiti della giustezza, quello struggimento interiore, sconvolgente e sensuale, quel corpo a corpo con la droga simile a un valzer senza fine…