Ze In The Clouds, alias Giuseppe Vitale, approda sulla Tūk di Paolo Fresu con un disco sfuggente, imperfetto, straniante – ma nonostante questo (o forse proprio per questo) molto, molto valido ed importante.

Questo è un disco importante. E lo è soprattutto per i suoi (apparenti?) difetti, interessante paradosso. Oportet 475, col suo titolo che rimanda addirittura al quarto movimento dell’ Opera 135 di Beethoven, un riferimento insomma altissimo, mette di nuovo sotto la luce dei riflettori il talento di Giuseppe Vitale alias Ze In The Clouds, da molti considerati un autentico “ragazzo prodigio” del jazz italiano. Ma bisogna accordarsi qua su cosa sta per “jazz”: un’etichetta che a Vitale stesso va tra l’altro stretta. Perché lui sia artisticamente che a livello personale è molto più vicino ad un approccio alla Domi & JD Beck: quello dove jazz, classica, hip hop alternativo, funk spaziale, esplosioni ultracolorate e lo-fi da cameretta convivono in maniera scoppiettante e stratificata. Scordatevi insomma il “jazz” tradizionale. Di esso, c’è solo la grande tecnica sullo strumento.

Tutto questo può sollevare per l’ennesima volta il dibattito su cosa sia il “jazz”: se un suono, o un’attitudine. Il suono è quello codificato negli anni e nei generi, con tutte le sue mutazioni nell’arco dei decenni (…e relative polemiche, su chi è dentro chi è fuori); l’attitudine invece è, anzi, potrebbe essere quella della libertà creativa, della mescolanza inedita di alto e basso, della ricchezza di contaminazioni – e quest’ultima visione è forse più vicina al DNA originario del jazz, ma più lontana rispetto a come il jazz si è codificato tra il pubblico (e in parte tra i musicisti) dal secondo dopoguerra ad oggi.

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© Amilcare Incalza

Che fare? Se prendiamo per buona la cosa del “suono”, Oportet 475 jazz lo è solo a malapena, e lo è volendo anche male, o maluccio. In mezzo a qualche ricamo raffinato di pianoforte (o quando interviene Fresu da par suo, in Fame Usque Mortem), c’è infatti molto gioco mimetico e spiazzante, dalla classica “liofilizzata” e pronto-uso coi, suoi riferimenti bachiani e barocchi (Gesualdo da Venosa è citato come ispirazione esplicita), al funk fatto-in-casa molto esile e volutamente quasi naïf che permea degli arrangiamenti in campo. Oltre a questo, c’è poco altro.

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© Massimo Contino

Ma se prendiamo la cosa dell’“attitudine”, proprio quanto sopra da limite ed incertezza diventa pregio ed avventura. Nel fare un disco ancora più sfuggente – più ambizioso e più naïf al tempo stesso – rispetto al suo predecessore Magical, Ze fa un atto di rottura e a dirla tutta fa anche qualcosa di profondamente, profondamente jazz: più gioco, più contaminazione, più sorpresa, più voglia di scompaginare le ingessature e i luoghi comuni. E lo fa con un talento vero, anche se ancora in transizione, ancora in cerca di un centro di gravità permanente. Oportet 475 è un robusto passo in avanti rispetto al suo predecessore in primis perché si allontana in modo netto da luoghi comuni, da modelli già pre-esistenti, e mostra un artista-Icaro che sotto il peso e la forza dell’incoscienza non si fa assolutamente problemi ad incidere un disco dalla forma davvero straniante, che vola sempre a poca distanza dal kitsch e dall’inconsistenza, ma si ferma sempre un attimo prima del piombare nel lato sbagliato delle cose e delle estetiche; e nel farlo, semina comunque momenti sublimi, ispiratissimi (Pure Got Awry, la ballad acustica Before The Tulips Die) e lezioni di maturità e personalità notevole da parte di un artista ancora così giovane (il take sull’hip hop di Venus On The Floors, che ricorda certe cose di progetti iper-intellettuali tipo gli Infesticons, roba preziosa di vent’anni fa).

Ze in the Clouds live in Orta San Giulio / Jazz:Re:Found x Ford

Jazz:Re:Found Festival

Insomma: è un lavoro maledettamente interessante. È la cartografia precisa e senza filtri di un talento vero. Un talento però ancora in transizione, che ancora cerca di trovare il suo baricentro più solido e le sue sicurezze; ma nel cercarli, con grande coraggio non si preclude nessuna via e non si vergogna in alcun modo di mettere a nudo le sue intuizioni più immediate, più spigolose, più sfrontate, più incerte (…sì: si può essere sfrontati ed incerti al tempo stesso). In mezzo a tanti dischi in bella calligrafia che non si prendono rischi, Oportet 475 è una rara avis. Va protetta. Va ascoltata. Va supportata. © Damir Ivic/Qobuz


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