Nel 1967, Otis Redding è un re dell’Olimpo, riuscito persino a intrufolarsi sulla scena del festival pop de Monterey. Di ritorno a Memphis, escogita nuovi orientamenti per il disco successivo. Il seguito è tanto leggendario quanto tragico: il 10 dicembre 1967 muore a soli 26 anni in un incidente aereo… Anche se solo Otis sapeva a che cosa dovesse assomigliare quel «nuovo album», Dock Of The Bay Sessions tenta di rispondere alla domanda. Concepito con Roger Armstrong dell’etichetta Ace Records e Jonathan Gould, biografo del cantante, non propone inediti (ogni pezzo presente è già stato pubblicato in un album postumo o in una raccolta), bensì una track list originale. Mostra un nuovo Otis Redding. Quello che ha impressionato le folle in Europa con i suoi concerti atomici e si è creato un nuovo pubblico negli Stati Uniti grazie all’episodio di Monterey. Tutto questo si sente nel funk spoglio di Hard To Handle, e si sente l’influenza di Bob Dylan – di cui Redding adorava la musica – nel lirismo magnifico di Gone Again. Il suo rifacimento di Amen, grande successo degli Impressions, dimostra anche che era lontano dall’aver abbandonato le proprie radici gospel. Otis Redding non dimentica nemmeno di pensare a far ballare il pubblico, per esempio con la potente Love Man, che la batteria di Al Jackson porta al top assieme a una sezione di ottoni fiammeggianti 100% Memphis. Per finire, ricorda anche di poter essere un maestro della ballata con I’ve Got Dreams To Remember e i suoi versi ricavati da una poesia della moglie Zelma. Per quanto riguarda la famosa (Sittin’ On) The Dock Of The Bay, che apre le ostilità tutti sanno che si tratta dell’ultima canzone registrata prima della sua morte. Pubblicato nel gennaio 1968, il singolo arriva al primo posto delle classifiche il 16 marzo, viene venduto in più di quattro milioni di copie e sarà il primo disco postumo di un artista a giungere al top… © Max Dembo/Qobuz